Rimbalza su tutti i media la notizia dei ragazzi thailandesi persi e ritrovati nel dedalo di grotte di Tham Luang, nel nord del Paese.
Una squadra di calcio giovanile che, con il loro allenatore, era rimasta intrappolata per giorni in un dedalo di tunnel sotterranei, inondato dalla pioggia improvvisa e fatto prigione.
Dal 23 giugno le loro tracce si erano perdute. Si sapeva solo che erano andati a fare una scampagnata in quelle grotte che sono attrazione. E attrazione fatale, nel caso specifico.
Per giorni si era cercato invano, sempre più faticosamente, sempre più disperatamente, in quelle cavità che sembravano ormai tramutate in tomba e sudario.
E invece, dopo nove giorni, sono stati ritrovati. Affaticati, spauriti, ma vivi, da alcuni sub inglesi specialisti in queste cose, per la gioia dei parenti e del mondo intero.
Già, perché il mondo intero ha preso a cuore la sorte di questi giovani calciatori, dispersi proprio mentre in Russia si celebravano i mondiali di questo sport sempre più popolare.
E tutto il mondo ha gioito alla scoperta che erano ancora vivi. Tutti quanti, i dodici più il mister.
Ora si tratta si portarli in salvo ed è cosa lunga, dato che la pioggia può ancora inondare le grotte, far crollare pareti, creare muri di fango. E i ragazzi non hanno esperienza subacquea, che serve a superare tratti completamente sommersi dall’acqua.
Insomma, il recupero sarà lento e studiato. Tanto che si immagina di portarlo a compimento tra mesi, alla fine della stagione delle piogge, portando nel frattempo ai ragazzi quanto occorre per sopravvivere. Insomma, si tratta di attendere e portare ancora pazienza.
Resta però quel ritrovamento inatteso. Che tutti i giornali hanno definito un “miracolo”. Come l’Ansa del 4 luglio, che inizia così il suo commento: “Il miracolo in cui tutti speravano si è avverato”.
Già, perché il mondo attende i miracoli. La Chiesa moderna, e non certo da oggi, sembra un po’ in imbarazzo su questo punto. Come se si vergognasse di usare questa parola, come se non la considerasse più importante.
Come qualcosa che appartiene a un passato ormai superato. Ecco, invece che il mondo, almeno in questa vicenda, non dimostra tale imbarazzo.
E quella parola la schiaffa in prima pagina senza ma e senza se. Perché è l’unica che sembra riassumere il senso, la meraviglia e la gioia, di questa vicenda. Una parola che dice tutto.
Ed è conforto anche questo. Aiuta a non perdere di vista una parola che per secoli la Chiesa ha usato con larghezza e gratitudine. Per raccontare in tutta umiltà le meraviglie del Signore.
Luca Romano