Da una meditazione di don Giacomo, relativa al Natale del 2006, in cui commentava un sermone di sant’Antonio da Padova, di cui ieri la Chiesa faceva memoria.
E poi c’è la frase di sant’Antonio che più mi ha stupito: «Perché come ci hai dato la fede, nostra prima dolcezza». Ecco, è dolce Gesù e la fede è una dolcezza. Si crede per dolcezza. È dogma di fede: il concilio Vaticano I° l’ha reso dogma di fede.
Si crede perché lo Spirito Santo dona la Sua suavitas: la suavitas è proprio la dolcezza nel riconoscere e nell’aderire. Com’è bello: «Perché ci hai dato la fede, nostra prima dolcezza». L’incontrare il paradiso è una dolcezza, l’incontrare quel bambino, come quando Maria l’ha partorito e l’ha guardato, è una dolcezza; gli occhi di Giuseppe che lo guardavano era una dolcezza! La fede è quello sguardo di Maria e quello sguardo di Giuseppe. Era la loro prima dolcezza: il solo guardarlo era la loro prima dolcezza.
«Come ci hai dato la fede, nostra prima dolcezza, tu ci dia anche la speranza e la carità». La speranza non è in fondo altro che questa dolcezza che non si può possedere, perché questa dolcezza è in speranza. È dolcezza reale, ma è una dolcezza che l’uomo non può trattenere lui, non può possedere lui.
E questo bambino ai suoi genitori ha insegnato che non lo potevano possedere quando, a dodici anni, è rimasto nel Tempio. In quei tre giorni, come dice la Madonna, «Tuo padre ed io [che rispetto! «Tuo padre ed io»] angosciati ti cercavamo». Cercavano quel bambino, che era il loro bambino, eppure non lo potevano possedere. La speranza significa che la salvezza è reale ma è in spe: in spe vuol dire che è in stupore, non si può possedere.
Conclude sant’Antonio: «Come ci hai dato la fede, nostra prima dolcezza, tu ci dia anche la speranza e la carità cosicché vivendo e morendo in esse [vivendo e morendo nella fede, nella speranza e nella carità] possiamo alfine giungere a te, con il tuo aiuto e con le preghiere della Madre tua, tu che sei benedetto nei secoli. Amen».