Oggi festa della Cattedra di san Pietro, che ricorda il mandato che Gesù affida a Pietro, insieme alle Chiavi che aprono le porte del Paradiso ai poveri peccatori grazie a una semplice confessione, che forse è la missione più bella affidata al povero pescatore di Galilea, generalmente subordinata, nella letteratura cristiana, alla primazia sugli altri apostoli a lui consegnata, diventata nel tempo motivo di contesa a causa opposte rigidità e interferenze di ogni genere. Ma oggi, si parva licet componere magnis, ricorre anche l’anniversario della morte di don Luigi Giussani, legato a don Giacomo da una cara e irriducibile amicizia.
Sarebbe lungo parlare di tale amicizia, e sarebbe lungo parlare di don Luigi, che fu faro della Chiesa per lunghi anni. Lo ricordiamo pubblicando una delle sue meditazioni più belle, quella sul “sì di Pietro”, episodio narrato in Giovanni 21 che don Luigi ebbe a riprendere più volte nelle sue meditazioni. Don Luigi spiegava che i Vangeli non sono altro che una sorta di block notes (volgarizziamo, ci si perdoni), nel quale è annotata quell’avventura meravigliosa accaduta 2000 anni fa.
Annotazioni che toccano il cuore e rimandano. Così la scena narrata in Giovanni 21, quando, dopo la resurrezione del Signore, gli apostoli aspettano il Suo riaccostarsi a loro, un po’ mogi, tanto che riprendono il loro antico mestiere di pescatori. Ma quella notte non prendono nulla. Tornano a riva. Uno sconosciuto gli si accosta e li invita a riprovare. E stavolta le reti quasi si sfondano. “È il Signore”, grida subito Giovanni perché prediletto. E subito Pietro si butta in acqua. E tutti dietro con la barca. E Gesù che chiede ai suoi di dargli dei pesci e li cucina per loro con tenerezza infinita… e tutti là attorno, a guardarlo. Poi la scena più bella… lasciamo la parola a don Luigi.
Luca Romano
Nel quasi totale silenzio che gravava sulla spiaggia, Gesù, sdraiato, guardò al suo vicino, che era Simon Pietro: lo fissò, e Pietro si sentì, immaginiamoci come lo sentì, il peso di quello sguardo, perché si ricordava del tradimento di poche settimane prima, e di tutto quel che aveva fatto – si era fatto chiamare perfino Satana da Cristo: “Va´ lontano da me, Satana, scandalo per me, per il destino della mia vita” -, si ricordava di tutti i suoi difetti, perché, quando si sbaglia gravemente una volta, viene in mente anche tutto il resto, anche quello che è meno grave. Pietro si sentì come schiacciato sotto il peso della sua incapacità, della sua incapacità ad essere uomo.
E quell’uomo lì vicino apre la bocca e gli dice: «Simone [immaginatevi come Simone dovesse tremare], mi ami tu?». Ma, se voi cercate di immedesimarvi in questa situazione, tremate adesso pensandoci, soltanto pensandoci, pensando a questa scena così drammatica; drammatica, cioè così descrittiva dell´umano; espositiva dell´umano […] Allora, come un respiro, come un respiro Pietro rispose. La sua risposta fu appena accennata come un respiro. Non osava, ma…: «Non so come, sì, Signore, io ti amo; non lo so come, ma è così». «Sì, Signore. Non so come, non posso dirti come, ma…».
Insomma, era facilissimo il trattenere, il vivere il rapporto con quell’uomo, bastava aderire alla simpatia che faceva nascere, una simpatia profonda, simile a quella vertiginosa e carnale del bambino con sua madre, che è simpatia nel senso intenso del termine. Bastava aderire alla simpatia che faceva nascere.
Perché, dopo tutto quello che gli aveva fatto, e il tradimento, si è sentito dire: «Simone, mi ami tu?». Per tre volte. E lui dubitò la terza volta, forse, che vi fosse un dubbio nella domanda, e rispose più ampiamente: «Signore, Tu sai tutto, Tu lo sai che ti amo. La mia simpatia umana è per te; la mia simpatia umana è per te, Gesù di Nazareth» (don Luigi Giussani, “Il tempo e il tempio: Dio e l’uomo”, Rizzoli editore).