Oggi la Chiesa fa memoria di san Mauro, monaco ricordato nei “Dialoghi”, libro scritto da papa san Gregorio Magno, anch’egli non solo monaco, ma anche prossimo a san Benedetto, tanto da suggerire la sua particolare avventura umana all’intera cristianità, sostenendo la nascita di monasteri e ricordando così l’importanza della verginità per la Chiesa e il mondo. Allora si poteva essere sacerdoti anche da sposati – per accennare a un’attuale querelle nella quale non vogliamo entrare -, ma era chiaro e caro il suggerimento di Gesù sul vantaggio, anche terreno, per quanti, abbracciati dalla grazia del Signore, abbracciano, tale cammino di vita. Il racconto di san Mauro è semplice e bello, evidenzia l’importanza dei miracoli per la vita cristiana, la cara bellezza dell’umiltà e di come l’obbedienza bambina, pronta e spesso inconsapevole, commuova il cuore del Signore.
Un giorno mentre il venerabile Benedetto stava nella sua stanza, il fanciullo Placido, suo monaco già altre volte nominato, uscì ad attingere l’acqua nel lago. Immergendo sbadatamente il secchiello che reggeva per mano, trascinato dalla corrente cadde anche lui nell’acqua e l’onda lo travolse trasportandolo lontano da terra, quasi quanto un tiro di freccia. L’uomo di Dio benché fosse dentro la cella si accorse del fatto. Chiamò immediatamente Mauro e gli disse: “Corri, fratello Mauro, perché Placido, che è andato a prender l’acqua, è cascato nel lago e le onde se lo stanno trascinando via!”. Avvenne allora un prodigio che dopo Pietro apostolo non si era mai più visto. Chiesta e ricevuta la benedizione, Mauro si precipitò per obbedire al comando che il Padre gli aveva dato e, convinto di camminare ancora sulla terra, corse sulle acque fin là dove si trovava il fanciullo trascinato dall’onda e, acciuffatolo per i capelli, ritornò indietro sempre correndo. Non appena toccò terra, rientrato in sé, si volse e capì di aver camminato sull’acqua. Sbalordito di aver fatto una cosa che non avrebbe mai presunto di poter fare, fu preso da spavento. Ritornato dal Padre gli raccontò ogni cosa.
Benedetto attribuì il prodigio non ai propri meriti, ma alla pronta obbedienza del discepolo. Mauro invece insisteva che tutto era accaduto soltanto per il comando dell’abate, e che egli non era affatto responsabile di quel miracolo in cui era stato protagonista senza neanche accorgersi. In questa amichevole gara di umiltà si frappose arbitro il fanciullo che era stato salvato, affermando: “Mentre venivo salvato dall’acqua, io vedevo sopra il mio capo il mantello dell’abate e credevo che fosse proprio lui a tirarmi fuori”.
Nella foto, san Benedetto, san Mauro e san Placido in una Tavola del XIV secolo